
In un’epoca di scetticismo diffuso, di agnosticismo dilagante e di vero e proprio ateismo come quella attuale può sembrare strano chiedersi se i genitori possono imporre la loro religione ai figli. Eppure, la problematica è di grande importanza: il patrimonio culturale si trasmette da una generazione all’altra, e l’educazione va impartita innanzitutto dai genitori, e solo in secondo ordine dalla scuola. È normale che i genitori desiderino che i figli seguano la loro stessa religione, anziché avere altre fedi o nessuna. Il problema sorge se questa aspirazione, di per sé legittima, si traduce in una vera e propria imposizione, con forme di coercizione o addirittura di violenza, come purtroppo a volte succede.
A livello pratico, poi, bisogna considerare che la pratica di una religione comporta diversi adempimenti: partecipazione a riti, funzioni, riunioni e altre iniziative di gruppo, somministrazione di sacramenti, sottoposizione all’autorità morale di sacerdoti o altre guide spirituali. E talvolta, a seconda del credo di riferimento, vi sono anche prescrizioni sul modo di vestire e di comportarsi in pubblico e nei rapporti privati (compresi quelli sessuali). Così è fuori dubbio che la religione incide profondamente sui diritti fondamentali della persona.
Quali religioni sono ammesse in Italia?
La Costituzione della Repubblica italiana sancisce, all’articolo 8, che «tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge» e riconosce loro il «diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano». Il successivo art. 19 della Costituzione prevede per tutti «il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume».
È il principio di libertà di professare la propria fede religiosa, con i soli limiti:
- del rispetto delle leggi vigenti (ad esempio, sarebbe illegittimo un rito religioso che prevede mutilazioni della persona o sacrifici di animali, perché tali condotte costituiscono reato);
- del divieto di atti contrari al «buon costume»: è una clausola aperta, che rappresenta l’insieme del comune sentire della società in un determinato momento storico riguardo ai comportamenti sessuali e dei rapporti interpersonali in genere.
Perciò in Italia oggi sono ammesse tutte le religioni, tranne quelle che compiono riti o pratiche turpi, degradanti o ripugnanti.
Il figlio può scegliere la propria religione?
L’art. 315 bis del Codice civile, introdotto nel 2012 con la riforma del diritto di famiglia, dispone che: «Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni». Perciò i genitori, nelle scelte educative, devono sempre tenere conto dell’interesse del figlio ad una crescita sana ed equilibrata. Il problema sorge quando c’è disaccordo nella coppia sul tipo di educazione da impartire ai figli: in tal caso, per dirimere il contrasto è necessario rivolgersi al giudice, che deve ascoltare il minore se ha compiuto i 12 anni, o anche se è più piccolo, ma risulta già «capace di discernimento», cioè ha una capacità di giudizio autonomo.
Quando il ragazzo ha compiuto i 14 anni è considerato capace di autodeterminarsi nelle scelte religiose: infatti gli studenti delle scuole secondarie superiori decidono autonomamente se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica, che è facoltativo [1]. Alle scuole elementari ed alle medie inferiori, invece, sono i genitori a scegliere se far partecipare o no il figlio all’ora di religione. Le attività scolastiche alternative per chi fruisce dell’esonero sono stabilite dagli istituti secondo le indicazioni contenute in una circolare ministeriale [2].
La scelta della religione dei figli di coppie separate
Nelle coppie separate o divorziate i contrasti tra i genitori spesso riguardano la sfera religiosa: se il padre e la madre professano fedi e confessioni diverse – ad esempio un cattolico e un musulmano – e non si raggiunge un accordo su quella da far seguire ai bambini, occorre l’intervento del giudice, che decide nell’interesse prioritario del minore (e non in base alle aspirazioni dei genitori).
Questi contrasti generano un notevole contenzioso giudiziario. Nel 2018, la Corte di Cassazione [3] ha stabilito che un genitore non può imporre la propria confessione religiosa al figlio minore se la partecipazione alle celebrazioni liturgiche gli «crea disagio». La vicenda riguardava un padre che, dopo la separazione, era divenuto testimone di Geova e obbligava la figlia a partecipare agli incontri. La madre si era opposta, e la consulenza psicologica espletata nel corso della causa aveva accertato che l’esclusione della bambina dalla religione cattolica – in cui era stata educata e che era seguita dalle sue amiche – poteva pregiudicare la sua serenità emotiva.
Nel 2019, la Cassazione è ancora intervenuta sul tema [4] per precisare che: «Il giudice può adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo solo in seguito all’accertamento in concreto di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo. Tale verifica non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore».
Una pronuncia analoga è stata emessa, nel 2020, dal tribunale di Pesaro, che però ha stabilito un «monitoraggio» psicologico del bambino nel periodo in cui doveva frequentare, a turno, le celebrazioni delle diverse religioni seguite dalla mamma e dal papà. Così, se dovessero emergere segnali di disagio, il giudice potrà modificare le condizioni. Leggi anche “Genitori separati: chi decide la religione dei figli“.
La libertà religiosa secondo la Cedu
Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu) è intervenuta in diverse occasioni sul tema dell’imposizione della religione dei genitori ai figli. L’ultima sentenza [5] ha affermato che il figlio minore deve essere libero di scegliere autonomamente la propria religione. I giudici della Corte di Strasburgo sono consapevoli del fatto che la libertà religiosa dei figli può non coincidere con le vedute ed aspettative dei loro genitori, e ribadiscono che in tali casi i genitori non possono imporre la loro fede religiosa, ma al contrario, «hanno la responsabilità primaria di sostenere il minore nell’esercizio dei suoi diritti umani».
La Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza [6] dispone che i genitori devono sempre fornire al figlio minore le opportune indicazioni per esercitare il suo diritto alla libertà di religione. Ciò non significa – spiega la sentenza – che il bambino debba crescere in un ambiente familiare «neutrale» dal punto di vista religioso, bensì che i genitori devono «tener conto dell’interesse superiore dei bambini, che comporta la conciliazione delle scelte educative di ciascun genitore e il tentativo di trovare un equilibrio soddisfacente tra le concezioni individuali dei genitori, precludendo qualsiasi giudizio di valore e, ove necessario, stabilendo norme minime sulle pratiche religiose personali». Insomma, i genitori devono collaborare tra loro nell’educazione della prole, e in questo ambito possono proporre ai figli di seguire la loro religione ma non devono imporgliela; altrimenti arrivano i provvedimenti giudiziari necessari per ristabilire il diritto alla libertà religiosa, che spetta anche ai bambini ed ai ragazzi.
[1] Art. 310 D.Lgs. n. 297/1994.
[2] Miur, Circ. n. 20651 del 12.11.2020.
[3] Cass. sent. n. 12954/2018.
[4] Cass. sent. n. 21916/2019.
[5] Cedu, sent. T.C. v. Italia n. 54032/18 del 19.05.2022.
[6] Art. 14, par. 2, Conv. ONU del 20.11.1989, ratif. dall’Italia con L. n. 176/1991.
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