Divieti. Tra cui non festeggiare Natale e compleanni e non studiare all’università. Ma anche paura di essere isolati e ostracizzati. Tre ex raccontano la loro esperienza. di MARIA ELENA TANCA
Diffondere «la buona notizia del regno» è la missione, Torre di guardia e Svegliatevi! le riviste ufficiali. Sono i testimoni di Geova, organizzazione fondata nel 1870 in Pennsylvania da Charles Taze Russell, un ex presbiteriano e poi avventista, che predicava la fine imminente di questo mondo e l’avvento in terra del regno di Geova. Da qui il loro motto, tratto dal libro dell’Apocalisse: «Io sto alla porta e busso». Oggi, l’organizzazione conta quasi 8 milioni e mezzo di adepti nel mondo, per un totale di oltre 120 mila congregazioni. Almeno questo è quanto risulta dai dati forniti dal loro sito ufficiale, Jw org , disponibile in centinaia di lingue. In Italia l’organizzazione è presente dal 1903 e raggruppa, sempre stando al sito, 250.431 testimoni. La congregazione più antica si trova a Pinerolo, nel Torinese, dove, nel 1908, si formò la prima comunità di Studenti Biblici, come erano chiamati all’epoca i testimoni di Geova. Oggi, le regioni italiane dove la comunità è più presente sono Lombardia (oltre 37 mila); Campania (oltre 27 mila); Sicilia (oltre 22 mila).
UNA CONFESSIONE RICONOSCIUTA DALLO STATO
I testimoni di Geova sono finiti spesso nell’occhio del ciclone. Anche il cinema ha dedicato a questa fede varie pellicole che ne denunciano il rigido stile di vita e i divieti. L’ultimo è stato Il Verdetto, pellicola che pone al centro il dibattito tra principi religiosi (i testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni) e la tutela della salute dei fedeli. Ma ce ne sono stati altri in passato: Apostasy (2017); La ragazza del mondo (2016); Worlds Apart (2008); Knocking (2006). Nonostante gli attacchi, ricordano però dal loro ufficio stampa, questa confessione religiosa «gode da vari decenni del riconoscimento giuridico da parte dello Stato. Il consiglio di Stato, nel proprio parere favorevole al riconoscimento giuridico della Congregazione cristiana dei testimoni di Geova (Dpr 31/10/86, ndr), sottolineò che tale confessione religiosa “opera in Italia da molti anni senza aver dato luogo a rilievi di sorta da parte dell’amministrazione”».
Ma quali sono le regole più dure imposte da questa confessione? I testimoni di Geova, per esempio, non festeggiano il Natale, perché sostengono che la data di nascita esatta di Gesù non sia conosciuta, la Pasqua, perché considerano uova e conigli simboli della festa pagana della fertilità e i compleanni perché associati all’astrologia, al paganesimo e alle religioni politeiste. Non solo. Sono condannati i rapporti prematrimoniali, l’adulterio e l’aborto. Ma anche le trasfusioni di sangue, le armi, il tabaccoe l’abuso di alcol. I più critici nei confronti dei Testimoni sono tra coloro che ne sono usciti. Gli ex descrivono una realtà claustrofobica e castrante «una vera e propria psico-setta che plagia le coscienze». Le loro esperienze le hanno raccontate sui giornali, in televisione o attraverso i libri. Hanno fondato gruppi Facebook, siti internet e associazioni volte ad aiutare le vittime delle sette. Insomma, non si nascondono.
IL J’ACCUSE DI MIRKO MELLACCA
È il caso di Mirko Mellacca, che sulla sua crisi interiore ha scritto un libro dal titolo Ricomincio da qui: dal Nuovo Mondo a un mondo nuovo. Mirko è un ex anziano, l’equivalente del vescovo per i cattolici. «Sono nato nell’organizzazione dei testimoni di Geova, infatti i miei genitori lo sono diventati quando avevo un anno», racconta Mellacca. «Poi mi sono associato a tutti gli effetti a 15 anni, con il battesimo». Anche se, mette in chiaro, non si può dire che la decisione di associarsi sia realmente volontaria perché «la pressione psicologica è parecchia, soprattutto per un ragazzo che ha genitori, parenti e amici all’interno dell’organizzazione».
IL CONFLITTO INTERIORE
La decisione di abbandonare i testimoni di Geova Mellacca la prese nel 2008, quando ormai era diventato un anziano. Il suo ruolo, così importante nella comunità, lo portò a entrare in contatto con procedure organizzative «particolari» che lo lasciarono «molto perplesso». Queste situazioni, pian piano, gli fecero perdere la fiducia nell’organizzazione. In particolare si imbattè, racconta, in tre casi di pedofilia, che lo turbarono a tal punto da scatenare in lui un grosso conflitto interiore: «Quando ho chiesto ai miei superiori se dovessimo denunciare gli abusi all’autorità, non c’è stata mai una risposta…», ricorda. In un caso l’accusato era addirittura un anziano dei testimoni di Geova, che avrebbe abusato della cognata di 12 anni. «In quell’occasione non ho dormito per una settimana intera», continua Mellacca. «Da una parte mi rendevo conto che il modo in cui veniva affrontata la questione non era corretto, dall’altra subivo pressioni importanti, perché avrei alzato un polverone e affrontato delle conseguenze anch’io». Questo clima di tensioni contribuì a determinare la sua crisi. Mellacca era pieno di dubbi, combattuto, ma in un primo momento non decise di uscire perché temeva l’ostracismo di cui sarebbe stato vittima.
IL VERDETTO DEI PASTORI E L’ESPULSIONE
Alla fine il momento di andarsene arrivò. Ma non per sua volontà. Mirko venne disassociato ed espulso per aver avuto contatti all’interno della comunità con una donna che non era sua moglie. «Non sono stati rapporti sessuali veri e propri», spiega a Lettera43.it, «ma azioni che considero ancora oggi sbagliate. L’ho confessato perché veniva richiesto e ho dovuto affrontare otto ore di interrogatorio da parte del tribunale interno. Alla fine hanno deciso di espellermi». Il comitato giudiziario di cui parla è composto da pastori, espressione di Geova, si riunisce a porte chiuse e non prevede che l’imputato abbia un difensore. Per farsi un’idea di come si svolge la seduta, è sufficiente guardare La ragazza del mondo di Marco Danieli.
«PER 30 ANNI HO CREDUTO IN UNA BUFFONATA»
Per circa un mese Mirko continuò a frequentare le riunioni dei testimoni di Geova, ma l’espulsione aveva un caro prezzo: era costretto ad arrivare per ultimo e andarsene per primo, nessuno poteva salutarlo e lui, a sua volta, non poteva rivolgere la parola agli altri. «Affrontare una situazione simile è particolarmente impegnativo, anche dal punto di vista emotivo», conclude Mirko. «Così mi sono chiesto se desideravo realmente tornare oppure no, se ne valeva la pena. Alla fine, facendo un po’ di ricerche e analizzando fonti che non fossero quelle dei testimoni di Geova, mi sono reso conto che per 30 anni avevo creduto a una buffonata». Ora Mellacca ha cambiato vita. Dal Salento si è trasferito a Ravenna. «Quando ripenso al mio passato, mi sembra di vedere un’altra persona. Ero completamente immerso in quel mondo, il weekend era il momento più impegnativo della settimana perché partecipavo alle riunioni e pronunciavo i discorsi. Oggi invece posso decidere cosa fare».
NIENTE NATALE, GITE SCOLASTICHE E UNIVERSITÀ
Di controllo totale della vita degli associati parla anche Samuel Sammartano, fuoriuscito dalla sua congregazione per scelta personale. Come Mellacca, anche lui era nato nell’organizzazione avendo nonni e genitori testimoni di Geova. Poi, a circa 16 anni, si battezzò. «La vita, anche se allora non me ne rendevo conto, era molto limitata, sin da quando ero adolescente. Mi dicevano di non frequentare i compagni di scuola, perché erano “del mondo”, non pregavano il nostro Dio e potevano sviare dalla vera adorazione», spiega Sammartano. «Poi niente compleanni, niente regali di Natale, niente Carnevale. Tutto veniva negato, persino le gite scolastiche, se ti impegnavano per più giorni». Per ognuna di queste proibizioni esiste una motivazione biblica. Per esempio, frequentare l’università non è permesso perché sottrae tempo alla predicazione: non ha senso impegnarsi in un’attività terrena, visto che questo mondo sta per essere distrutto. «I testimoni di Geova», si legge sul sito, «ritengono che l’ambiente di alcune università o di istituti simili nasconda pericoli sul piano morale e spirituale. Per questo motivo, molti di loro decidono di non esporre se stessi o i propri figli a un ambiente di questo tipo, dove tra l’altro vengono spesso promosse idee errate»
LA «SOTTOMISSIONE» DELLA DONNA
Le regole per le donne sono ancora più restrittive. «La donna deve essere sottomessa al marito, alla congregazione, cioè agli anziani. Non può tenere discorsi pubblici, non può recitare una preghiera dal podio. La donna non può godere dei privilegi degli uomini, deve portare avanti la famiglia e ubbidire al marito», continua l’ex testimone di Geova. «Deve indossare la gonna, ma sempre sotto al ginocchio. Se la porta più corta, il marito deve riprenderla, perché crea scandalo e può turbare la coscienza di qualcuno. Vanno evitate anche scollature o trasparenze».
«LAVAGGIO DEL CERVELLO» E «MANIPOLAZIONE»
Un ambiente così rigido fu messo in discussione da Sammartano. Fino al 2014 era convinto di aver deciso volontariamente di associarsi, ma poi si rese conto di esser stato condizionato. Anzi, «plagiato». «Tutti si associano, perciò anche tu lo fai, perché vuoi far parte del gruppo», dice. «Se non lo fai, ti senti escluso: è un vero e proprio lavaggio del cervello, una manipolazione mentale che si subisce fin da piccoli». Manipolazione che però Samuel riuscì a spezzare grazie alle sue ricerche: «Ho scoperto legami tra Russell, il fondatore del movimento, e la massoneria. Se si va su YouTube, si vedrà una piramide sopra la tomba di Russell, con una croce all’interno di una corona, segno di massoneria. Inoltre, le profezie di Russell e dei suoi successori sulla fine del mondo si sono rivelate false, errate». Oltre a queste scoperte, a influenzarlo fu la lettura del libro Crisi di coscienza, di Raymond Franz, un ex membro del Corpo direttivo dei testimoni di Geova. «Mentre in Europa gli associati morivano nei campi di concentramento, in Australia gli americani della Watch Tower avevano costruito un business sulla seconda guerra mondiale», fa notare Sammartano. «Mandavano i loro associati a lavorare nelle fabbriche di munizioni australiane, a lavare le uniformi militari, e così via». Come nel caso di Mellacca a bloccarlo fu la paura di essere emarginato. E di essere isolato, anche dalla sua famiglia.
A fare traboccare il vaso, il tradimento di suo fratello da parte della moglie e del nipote di un anziano della congregazione. Al momento del giudizio, il tribunale interno perdonò i due traditori, così il fratello si dovette tenere la moglie adultera. «Gli anziani mi hanno molto deluso», ammette, «perché ho notato che non sono l’espressione di Dio, ma anzi decidono con parzialità, per tenere in piedi la loro leadership». E aggiunge: «se un loro famigliare commette qualche marachella la scampa perché ha un santo in paradiso. Invece gli altri la pagano sempre».
USCIRE CON UNA RACCOMANDATA
Sammartano decise così di non frequentare più le sale del regno e di non rispondere nemmeno al citofono. Alla fine scrisse una lettera raccomandata alla sua congregazione, dichiarando di non voler uscire. «Mi hanno fatto ancora una telefonata, per chiedermi se ero sicuro. Ma, vista la mia risolutezza, hanno annunciato davanti alla congregazione che non ero più un testimone di Geova». Diversa la situazione della madre, che ha deciso semplicemente di non aprire più la porta e di non frequentare le sale del Regno, senza mai scrivere una lettera formale. «Francamente non so come la considerino, forse è un’inattiva», dice lui. «Non ha mai voluto ufficializzare la sua uscita, perché ha la madre di 86 anni ancora dentro e mia nonna le farebbe ostracismo».
I NO A UNA ADOLESCENTE
Pure il caso di Orietta Degaudenz è significativo. Anche lei testimone dalla nascita, durante l’infanzia si considerava «superiore ai compagni di classe» che «compativa» e «snobbava». Però soffriva la solitudine. «Avrei voluto avere più amici, ma per divieto dei miei e per paura di dispiacere a Geova, e quindi morire durante l’Armagheddon, evitavo», racconta. L’adolescenza la trasformò in una ragazzina ribelle, «almeno dentro casa» perché nella sua congregazione era «un esempio» per tutti i giovani. In famiglia le proibivano tutto: discuteva spesso con la madre per il trucco, i jeans, la musica che ascoltava, gli orecchini, i capelli, lo smalto sulle unghie, il film che guardava, i giornali che comprava di nascosto. «Una sera ci trovammo in quattro a vedere a casa Bingo bongo, un film demenziale di Celentano», ricorda. «Venimmo ripresi in gruppo dai soliti anziani, secondo i quali non era un film adatto perché a un certo punto c’era una scena hard, nello specifico una donna che allattava». Orietta si sentiva in gabbia, iniziava a mancarle l’aria. E così decise di abbandonare l’organizzazione.
Queste sono solo alcune delle storie che accomunano i fuoriusciti. Molti di loro si riuniscono in gruppi su Facebook, o chiedono aiuto ad associazioni come Quo vadis, dell’ex anziano dei testimoni di Geova Rocco Politi. L’associazione ha sede a Modena e si occupa di sostenere moralmente le vittime dell’ostracismo di movimenti religiosi alternativi devianti.
«I FUORIUSCITI? NON SONO OSTILI, ANZI»
Dal canto loro i testimoni Geova sottolineano che «non tutti i fuoriusciti sono ostili; anzi, i fuoriusciti ostili sono molto pochi rispetto ai fuoriusciti non ostili, eppure godono di enorme visibilità» e mettono in guardia sulla veridicità dei racconti: «Le testimonianze dei fuoriusciti vanno sempre prese con le molle». I ministri di culto testimoni di Geova «nominati dallo Stato celebrano da molti anni matrimoni con effetti civili», precisa l’ufficio stampa. «Altri nostri ministri di culto prestano assistenza spirituale ai detenuti, con risultati straordinari che sono valsi diversi elogi da parte delle autorità». Non solo: «L’attività di evangelizzazione e le oltre 3.000 comunità in Italia aiutano migliaia di persone ad abbandonare vizi e comportamenti nocivi come fumo, droga, gioco d’azzardo, violenza in famiglia, linguaggio volgare».
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